sabato 16 marzo 2024

Europee, Alternativa popolare con il Ppe e Bandecchi nel simbolo

Sin dall'inizio di febbraio Stefano Bandecchi, coordinatore nazionale di Alternativa popolare, non ne aveva fatto mistero: il Parlamento europeo era la meta cui puntare. Il 27 e il 28 gennaio, al primo congresso programmatico del partito, era stato "ufficializzato" grazie alla scenografia l'ingresso del riferimento testuale al Partito popolare europeo all'interno del simbolo (proprio all'interno del cuore dal contorno giallo che richiama il logo del Ppe, il cui cuore con le stelle uso non era stato consentito dal partito europeo già nel 2016, quando il soggetto politico italiano fondato da Angelino Alfano formalmente si chiamava ancora Nuovo centrodestra ma usava alternativamente il nome Area popolare). Il 9 febbraio, all'indomani dell'annuncio delle sue dimissioni da sindaco di Terni (poi ritirate una settimana più tardi), Bandecchi aveva poi annunciato la sua candidatura come capolista alle elezioni europee in tutte le circoscrizioni, contando di raggiungere e superare il 4%: il compito sarebbe stato arduo, ma se non altro la lista avrebbe potuto partecipare alle elezioni senza dover raccogliere le firme, in virtù dell'adesione di Ap al Ppe (che ovviamente nel 2019 ha ottenuto seggi europei, anche in Italia) e della "via europea" aperta dalla decisione dell'Ufficio elettorale nazionale nel 2014 dopo il ricorso della Federazione dei Verdi - Verdi europei e sfruttata nel 2019 proprio da Alternativa popolare per esentare la lista condivisa con il Popolo della famiglia
Quando però, il 15 febbraio, si era diffusa la notizia dell'emendamento presentato da Fratelli d'Italia per ridurre sensibilmente le esenzioni dalla ricerca dei sottoscrittori, facendo balenare l'ipotesi che la strada dell'esonero non fosse più percorribile per i partiti che avevano eletto parlamentari nei collegi uninominali e per quelli legati a partiti politici europei rappresentati a Strasburgo, Stefano Bandecchi aveva reagito in fretta: "L'emendamento presentato dai senatori di Fdi Lisei, Della Porta, De Priamo e Spinelli alla Legge di conversione del Dl sull'Election Day, per modificare i criteri di esenzione dalla raccolta firme per le imminenti elezioni europee, è degno dell'Ungheria dell'amico (loro) Orban, non di uno Stato democratico e libero. [...] Una norma contra personam, contro Stefano Bandecchi e Alternativa Popolare. Fino a oggi, come forza appartenente al Ppe, eravamo esentati dalla raccolta firme, come previsto dalla legge; da domani, se approveranno questo emendamento porcata, non avremo più questo diritto. Non abbiamo certamente paura di questa sfida, però questo nega un diritto acquisito e, quindi, ci riserviamo di avviare tutte le azioni necessarie per evidenziare una gravissima lesione di diritti riconosciuti sia in Costituzione che nel Diritto Comunitario. È una norma antidemocratica, di compressione del diritto di rappresentanza, di eliminazione per via legislativa – anzi, emendativa – di un soggetto e di una componente politica". 
Si è visto come pure altre forze politiche, come Sud chiama Nord, avessero parlato di norma scritta contro di loro, per farle fuori dalla competizione europea. Se però pochi giorni dopo la riformulazione dell'emendamento di Fdi aveva restituito l'esenzione alle forze politiche che avevano eletto anche solo un deputato o un senatore nei collegi uninominali (per la soddisfazione di Cateno De Luca, oltre che di +Europa e di altri soggetti politici), non potevano dirsi altrettanto soddisfatti i partiti italiani che - privi di propri eletti alle Camere o al Parlamento europeo - contavano di presentare liste grazie alla loro affiliazione ai rispettivi partiti europei; il testo dell'emendamento manteneva tra i requisiti per l'esenzione l'aver eletto europarlamentari in Italia, dunque avere partecipato alle ultime elezioni europee e aver superato la soglia di sbarramento. Lo 0,43% raccolto dalla lista Alternativa popolare - Il Popolo della famiglia non era chiaramente sufficiente ad eleggere europarlamentari, quindi la strada dell'esenzione per Bandecchi era rimasta sbarrata. 
Nei giorni successivi, in ogni caso, Ap ha intensificato la propria attività, rimarcando il sostegno alla candidatura di Riccardo Corridore - vicesindaco di Terni, dunque vice di Stefano Bandecchi, e coordinatore umbro del partito - alla guida della giunta regionale dell'Umbria, ma soprattutto ha inserito il riferimento a Bandecchi all'interno dei futuri contrassegni elettorali: vale tanto per l'emblema da schierare sulle schede umbre, quanto per il contrassegno che quasi certamente arriverà al Viminale tra il 21 e il 22 aprile. Il simbolo, presentato il 5 marzo, oltre all'espressione "con Bandecchi" (la cui evidenza ha costretto a ridurre di dimensioni il nucleo del fregio del partito), contiene il logo ufficiale del Ppe nella parte inferiore, quasi a ripetere il riferimento già inserito poche settimane prima nel cuore giallo del partito (colore che evidenzia anche le iniziali del Ppe). Il legame con il partito europeo è stato ribadito con la presenza, il 7 marzo, al congresso del Ppe a Bucarest del presidente di Alternativa popolare, Paolo Alli (proprio lui aveva concesso il simbolo a Mario Adinolfi nel 2019); il giorno dopo, in compenso, la scena se l'è ripresa Bandecchi, annunciando - in un'intervista alla Nazione - la propria candidatura come "ultimo nome" perché non avrebbe intenzione di andare a Strasburgo, "non posso tradire il patto che ho fatto con gli elettori ternani. Devo continuare a esercitare il mio ruolo di sindaco, così come mi sono impegnato a fare". 
In quella stessa intervista ha ricordato il percorso dell'emendamento di Fdi (allora solo approvato in commissione al Senato), sottolineando di non vedere quella futura disposizione "in forma restrittiva. Possiamo partecipare alle Europee senza raccolta di firme, perché siamo iscritti al Ppe. I politici italiani hanno dimostrato di nuovo di avere paura di Bandecchi e di Ap". Difficile capire come si possa conciliare l'auspicio di esenzione grazie all'iscrizione al Ppe con la richiesta - in base all'ormai quasi vigente testo della legge sulle elezioni europee - di essere un partito "che nell'ultima elezione [abbia] presentato candidature con proprio contrassegno ed [abbia] ottenuto almeno un seggio in una delle circoscrizioni italiane al Parlamento europeo, e che [sia] affiliat[o] a un partito politico europeo costituito in gruppo parlamentare al Parlamento Europeo nella legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi elettorali". L'affiliazione al Ppe (con proprio gruppo parlamentare europeo) c'è, la partecipazione alle elezioni europee del 2019 pure, il seggio ottenuto in quell'occasione nelle circoscrizioni italiane invece no. 
Scartata l'ipotesi di accordi con Matteo Renzi ("Non ha realizzato il brand di centro ma si presenta con Italia Viva", ammesso che non vada in porto la lista comune con +Europa ed altre forze) o con Forza Italia ("Ha deciso di andare da sola perché non vuole dividere il simbolo Ppe con Alternativa popolare"), Bandecchi presenterà alla stampa e al corpo elettorale le liste la mattina del 20 marzo alla sala Capranichetta: prima di partire con il camper per la campagna elettorale, è già stata annunciata la presenza come capolista dell'ex magistrato Luca Palamara, indicato come capolista nella circoscrizione Centro. Certo, sarebbe curioso capire se nel frattempo il partito tirerà dritto sulla sua idea di avere diritto all'esenzione o cercherà comunque di raccogliere le firme, per mettere minimamente al sicuro la partecipazione. Di certo la notizia dell'approvazione al Senato del disegno di legge di conversione del "decreto elezioni 2024", con l'emendamento ricordato ma anche il dimezzamento delle sottoscrizioni necessari, non è sfuggita a Bandecchi, che giovedì mattina ha postato il video della partenza del suo camper commentando "Stanotte qualcuno si è messo a fare le solite leggi, come dire, notturne". I candidati e i dirigenti di Alternativa popolare proveranno a sfruttare il taglio delle firme o rischieranno la via dell'esonero, con il pericolo - quasi certo - che gli uffici elettorali sbarrino la strada verso le schede e le urne?

giovedì 14 marzo 2024

Europee, Movimento per l'Italexit con De Luca (ma già diffidato)

L'aveva annunciato Cateno De Luca, nel corso dell'assemblea nazionale di Sud chiama Nord all'inizio di marzo: ogni giovedì di quel mese avrebbe tenuto una conferenza stampa alla Camera, presentando via via le forze politiche che avrebbero accettato di concorrere alla formazione della lista Libertà, che parteciperà alle elezioni europee dell'8 e 9 giugno senza dover raccogliere le firme (in virtù dell'esenzione legata all'elezione di due parlamentari che la seconda versione dell'emendamento di Fratelli d'Italia al "decreto elezioni 2024" ha preservato). Quest'oggi, in effetti, il segretario De Luca è tornato nella sala stampa di via della Missione a Roma insieme al deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo, la presidente del partito Laura Castelli e due ospiti, Giampaolo Bocci e Giuseppe Sottile.
Se ai più questi due nomi possono dire poco, occorre sapere che si tratta di persone che fino a poco tempo fa erano dirigenti di Italexit, il partito fondato da Gianluigi Paragone e dal quale il giornalista ed ex senatore si è dimesso il 29 dicembre 2023, dopo un non breve confronto interno; oggi sono intervenute come rappresentanti di un nuovo soggetto politico, denominato Movimento per l'Italexit. "In questo periodo di preparazione della lista per le europee - ha detto Laura Castelli - capita sempre più spesso di ritrovare persone incontrate dieci o quindici anni fa, che nel tempo hanno preso strade politiche diverse ma con cui ora ci si ritrova a parlare di ciò che è accaduto ed è cambiato in questo periodo. È il caso di Giampaolo Bocci e non credo sia un caso: in questa fase in cui c'è chi non ha più la libertà di parlare e chi la rivendica, essere di nuovo compagni di strada è naturale". 
Bocci (fondatore del Movimento per l'Italexit con Andrea Andreson e Carlo Carassai) ha spiegato come molti di coloro che erano coordinatori locali o regionali di Italexit, nonché ex candidati alle elezioni politiche del 2022 in queste settimane hanno abbandonato il partito, aderendo al nuovo soggetto politico. "Con la federazione Libertà ci impegniamo a lavorare per un'Italia più giusta, più libera e sovrana. Siamo un nuovo capitolo, ma fondato su basi solide; con noi c'è anche Luciano Bosco, ex coordinatore organizzativo nazionale di Italexit". "Noi abbiamo partecipato alle elezioni politiche con un partito che si chiamava Italexit con Paragone - ha aggiunto Sottile, già membro della direzione nazionale -. Fuori da ogni ipocrisia, quell'esperienza politica per me è finita con le dimissioni di Gianluigi Paragone. Oggi c'è un gruppo di persone volenterose che cerca di portare avanti quel progetto: tra loro c'è il mio amico Andrea Perillo e lo invito a valutare l'opportunità di partecipare a questa battaglia, ma c'è anche una comunità che si riconosce nelle persone citate da Bocci e che oggi si ritrova nel Movimento per l'Italexit".
Sembrano avere in realtà tutt'altra intenzione i continuatori di Italexit, anzi, di Italexit per l'Italia (il nome ufficiale, da statuto, era quello da tempo, benché spesso fosse usata la prima parte abbinata al nome di Paragone), a seguito di una direzione generale che si è svolta il 12 febbraio: "Era importante - si è letto allora in un comunicato - fornire a tutti i nostri iscritti e simpatizzanti, e in generale a chi ci segue con interesse, un chiaro segnale della volontà politica di proseguire nel nostro cammino". La riorganizzazione del partito è passata attraverso la nomina di un Consiglio di reggenza (composto da Antonino Iracà, Roberto Robilotta e Andrea Perillo) con funzioni di rappresentanza politica e di portavoce nazionali e l'istituzione di un coordinamento organizzativo nazionale (presieduto dai responsabili Cristiano Zatta e Fabio Montorro).
Proprio il citato Consiglio di reggenza di Italexit per l'Italia questa mattina ha diffuso un comunicato, emesso "a seguito delle numerose segnalazioni [...] pervenute, che vedrebbero alcuni soggetti tentare di proporsi e interfacciarsi con il nostro elettorato e con altre forze politiche a nome di Italexit". "Diffidiamo chiunque - vi si legge - nel vano tentativo di accreditarsi millantando di poter disporre del simbolo e del nome del partito in maniera impropria e deliberata senza di fatto averne alcun titolo e alcuna autorizzazione, di operare a nome o per conto di Italexit per l’Italia". Per reagire a "qualsiasi distorsione e ingannevolezza in merito all'utilizzo illegittimo del nome o del simbolo del partito", il Consiglio di reggenza precisa che "esiste un solo e unico partito Italexit per l'Italia, pertanto eventuali comitati e movimenti estemporanei e improvvisati che dovessero presentarsi in nome e per conto di Italexit, sono da ritenersi del tutto estranei al nostro partito e totalmente privi di qualsivoglia legittimità. Il nostro partito è inoltre operativo e riconoscibile esclusivamente attraverso i suoi riferimenti ufficiali reperibili sul sito internet di Italexit per l'Italia". Il comunicato si conclude prospettando azioni legali: "Abbiamo già dato mandato ai nostri legali di procedere in sede civile e penale, con relativa richiesta di risarcimento danni, contro chiunque dovesse utilizzare indebitamente, anche solo parzialmente e con qualsiasi elemento riconducibile ad Italexit per l'Italia, il nostro nome e il nostro simbolo".
Nella conferenza stampa di oggi Cateno De Luca ha brevemente commentato la reazione ufficiale di Italexit ("Vengo dalla Sicilia, sono abituato a ben altro, questi comunicati di diffida mi fanno il solletico; grazie anzi per la pubblicità che ci viene fatta con questa diffida, spero non ci arrivi la fattura..."); al di là di questo, è facile notare che il simbolo creato per distinguere il Movimento per l'Italexit - cerchio blu sfumato, nome maiuscolo bianco con "Italexit" in evidenza (e la X conformata in modo da far emergere una freccia) e ondina tricolore in basso - è oggettivamente diverso e graficamente non confondibile rispetto all'emblema di Italexit per l'Italia. Il simbolo riempie uno dei quattro cerchietti inseriti nel contrassegno elettorale provvisorio della lista Libertà - Sud chiama Nord: le dimensioni sulla scheda non rendono quella miniatura particolarmente visibile, anche se certamente l'elemento che spicca in quel piccolo cerchio è la parola Italexit.
Posto che il Movimento per l'Italexit appare qualificarsi come soggetto distinto dal partito Italexit per l'Italia (non agisce cioè in suo nome e per suo conto), resta la questione del possibile uso indebito, anche solo parziale, del nome di Italexit per l'Italia. La questione non è di immediata soluzione per varie ragioni. Da un lato si può ricordare che lo stesso Gianluigi Paragone, prima di presentare in conferenza stampa il partito Italexit a luglio del 2020, fu oggetto di una diffida: la presentò Teofilo Migliaccio, allora a capo di un partito già denominato (dal 2019) Italexit e che nella grafica riprendeva il Brexit Party di Nigel Farage. Paragone all'epoca incaricò uno studio legale di replicare, sostenendo che "Italexit è un termine generico, che si inserisce in quell'insieme di parole coniate per l'ultimo decennio per identificare quei movimenti economico-politici rappresentativi del sentimento di euroscetticismo, secondo cui, per migliorare le condizioni di un paese, è necessario riacquistare la piena sovranità", al punto tale che il Vocabolario Treccani ha accolto il neologismo nel 2016. Ugualmente facile è notare che nella banca dati dell'Ufficio italiano brevetti e marchi, tra il simbolo del partito che fu di Migliaccio (rifiutato come marchio probabilmente per la questione - più volte analizzata - della forma rotonda, ritenuta in conflitto con le norme elettorali) e il primo logo depositato come marchio da soggetti riconducibili a Gianluigi Paragone  risultano altri due segni distintivi contenenti in rilievo la parola "Italexit", che dunque si potrebbe effettivamente considerare di uso comune. Dall'altro lato, tuttavia, non si può trascurare come Italexit per l'Italia sia stato rappresentato in Parlamento nella scorsa legislatura con propria componente al Senato (costituita grazie al sostegno tecnico del Partito valore umano) e, proprio in virtù di questo, abbia ottenuto l'inserimento nel Registro dei partiti politici previsto dal decreto-legge n. 149/2013: questi elementi potrebbero in qualche modo rafforzare la posizione di Italexit per l'Italia, vista la tutela che normalmente è accordata - specie in caso di scissione - ai partiti la cui presenza parlamentare, pur non più attuale, è comunque vicina nel tempo. 
Con riferimento alle elezioni europee, in ogni caso, toccherà al Ministero dell'interno decidere sull'ammissibilità del contrassegno composito di Sud chiama Nord - Libertà, anche con riguardo alle sue singole parti, inclusa la miniatura del Movimento per l'Italexit. Non è nemmeno impossibile che, visto il concorso di questo movimento alla lista promossa da Cateno De Luca, qualche rappresentante di Italexit per l'Italia si metta in fila al Viminale già il 21 aprile, con l'idea di depositare il proprio contrassegno e opporsi all'eventuale ammissione del simbolo elettorale di De Luca. Che nel frattempo si sarà completato con l'inserimento di altri soggetti politici.

mercoledì 13 marzo 2024

Senato, l'aula discute sul decreto elezioni 2024, tra europee e comunali: resta la stretta alle esenzioni, ma firme dimezzate "una tantum"

Oggi risulta essere una giornata cruciale per la definizione delle regole da applicare alle ormai prossime elezioni europee (8-9 giugno 2024). L'assemblea del Senato, infatti, ha oggi esaminato il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 7/2024 ("decreto elezioni 2024"), incluse le disposizioni relative alla raccolta firme e all'esenzione da quell'onere. 
La discussione merita anche questa volta di essere analizzata, benché abbia fatto irruzione nel dibattito la proposta della Lega che ha ripresentato l'emendamento per consentire il terzo mandato consecutivo ai presidenti delle giunte regionali e ne ha presentato un altro volto ad abbassare al 40% la quota sufficiente a essere eletti sindaci al primo turno nei comuni sopra i 15mila abitanti, di fatto evitando il ballottaggio (dopo il primo tentativo - poi rientrato - in sede di discussione sempre a Palazzo Madama del testo sulle elezioni nei piccoli comuni, in quel caso su proposta prima di Forza Italia, poi di tutto il centrodestra).  
 

Gli ultimi passaggi in Commissione

Dopo l'approvazione, il 5 marzo, della nuova versione dell'emendamento di Fdi che riduceva le ipotesi dell'esenzione dalla raccolta delle firme - precludendo in particolare l'esonero a forze che non avessero ottenuto l'elezione di deputati, senatori ed europarlamentari nelle circoscrizioni italiane - la discussione sulla conversione in legge del "decreto elezioni 2024" è proseguita il giorno dopo in Commissione Affari costituzionali, in particolare sull'emendamento di Forza Italia - accantonato nelle ultime sedute -volto a limitare l'ineleggibilità a consigliere regionale ai soli dipendenti della Regione che svolgano funzioni e attività amministrative. La seconda riformulazione (dunque il terzo testo) aveva incontrato la netta contrarietà di Pd (con Dario Parrini), M5S (con Alessandra Maiorino) e Italia viva (con Dafne Musolino), per i quali aver qualificato quella disposizione come di interpretazione autentica avrebbe costituito lo strumento per "salvare" dalla decadenza consiglieri regionali attualmente in carica.
Nella seduta del 6 marzo, dunque, la sottosegretaria all'interno Wanda Ferro ha chiesto la terza riformulazione: "Fermo restando quanto previsto dall'articolo 274, comma 1, lettera l), del decreto legislativo 18 luglio 2000, n. 267, la causa di ineleggibilità prevista ai fini dell'elezione a consigliere regionale dall'articolo 2, primo comma, numero 7) della legge 23 aprile 1981, n. 154, si applica esclusivamente ai dipendenti della regione che svolgano, al momento della candidatura al rispettivo consiglio, funzioni e attività amministrative". Dalla rubrica dell'articolo era però sparito il riferimento all'interpretazione autentica: si è così ritenuto non più necessario specificare che la disposizione sarebbe stata applicata (solo) dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. Il testo - inapplicabile retroattivamente, secondo le spiegazioni della sottosegretaria sollecitate da Parrini e Andrea Giorgis, anche sulla base di varie sentenze recenti della Corte costituzionale - avrebbe consentito l'eleggibilità dei dipendenti regionali con mansioni solo esecutive (non amministrative), restando invece ineleggibili i componenti degli uffici di staff e i consulenti (applicandosi per costoro le norme dettate per i titolari di qualifiche dirigenziali). La riformulazione, accettata dal senatore forzista Claudio Lotito, non aveva dissipato i dubbi del M5S, del Pd e di Alleanza Verdi e Sinistra, che non hanno partecipato al voto: costoro avevano avanzato dubbi sulla proponibilità dell'emendamento (ritenuto estraneo alla materia del decreto), ritenendo inopportuno introdurre una disciplina sulle ineleggibilità diversa rispetto a quella prevista per comuni e province dal Testo unico per gli enti locali (per cui i rispettivi dipendenti non si possono candidare, se non si mettono in aspettativa non retribuita entro la presentazione delle candidature) e che - per la tesi dell'opposizione - parrebbe volta a soddisfare "interessi personali non bene individuati" o a risolvere "i problemi di un numero ristretto di beneficiari", derogando alla disciplina vigente che consente ai dipendenti di potersi candidare, purché si mettano in aspettativa, "proprio a tutela dell'ente di appartenenza". In votazione l'emendamento era comunque stato approvato.
Ieri sera la commissione ha completato l'esame degli emendamenti (con l'approvazione delle proposte di modifica di natura finanziaria formulate su richiesta della commissione Bilancio) e si è espressa sul mandato al relatore (che è lo stesso presidente di commissione Alberto Balboni, di Fdi). In quella sede, se Azione (attraverso Mariastella Gelmini) si è astenuta, preannunciando la presentazione di proposte volte ad estendere ai lavoratori fuori sede, ai malati e a coloro che prestano loro cura la possibilità del "voto fuori sede", Italia viva (con Dafne Musolino) ha fatto altrettanto, criticando anche la mancata estensione del possibile terzo mandato consecutivo ai sindaci dei comuni superiori e ai presidenti di giunta regionale e l'emendamento sull'ineleggibilità dei dipendenti regionali con mansioni esecutive; il partito di Renzi, tuttavia, ha anche stigmatizzato l'emendamento sull'esenzione dalla raccolta firme alle elezioni europee, "evidenziando - si legge nel resoconto - che non si sarebbe dovuto approvare una norma simile a pochi mesi dalle elezioni stesse e che si sarebbe comunque dovuto introdurre una normativa volta a facilitare la presentazione delle liste, invece di introdurre ulteriori vincoli". Il Pd ha invece votato contro, sia per l'insufficienza della disciplina del voto per gli studenti fuori sede, sia per l'eliminazione al tetto dei mandati per i comuni fino a 5mila abitanti, come pure sul citato "emendamento ineleggibilità"; nell'intervento finale di Dario Parrini non c'è stato alcun riferimento, invece, alla questione dell'esonero della raccolta firme, così come non ne ha fatti per il M5S Alessandra Maiorino (che ha formulato critiche affini a quelle di provenienza dem), dando l'impressione che per le forze maggiori dell'opposizione la riduzione dei casi di esonero dalla raccolta delle sottoscrizioni non sia vissuta come un vulnus particolarmente grave (un'impressione in lieve parte smentita dal successivo dibattito in aula). Un giudizio moderatamente critico su quell'emendamento, del quale "si sarebbe potuta predisporre una versione migliore", è arrivato piuttosto da Alleanza Verdi e Sinistra (con Peppe De Cristofaro), critica ancora una volta sul voto "insufficiente" ai "fuori sede" e sui limiti meno stringenti ai mandati consecutivi dei sindaci.
 

La lettera di Rifondazione comunista a Mattarella

Nel frattempo, il 9 marzo, era stata resa nota dal Partito della Rifondazione comunista una lettera inviata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella il giorno prima dal segretario del Prc Maurizio Acerbo (nonché dal responsabile Democrazia e istituzioni Giovanni Russo Spena e dal responsabile dell'ufficio elettorale Raffaele Tecce), ma firmata innanzitutto da Walter Baier, presidente del Partito della Sinistra Europea, uno dei dieci partiti politico europei riconosciuti ai sensi del regolamento n.1141/2014 e inseriti nell'elenco pubblicato in rete.
La missiva, inviata al "garante supremo della nostra Carta Costituzionale e del sistema democratico", è chiaramente legata all'iniziativa del Prc che "sta coproponendo" la lista Pace Terra Dignità, i cui promotori più noti sono Michele Santoro e Raniero La Valle: lista che, sulla base della prassi aperta nel 2014 e consolidata nel 2019 che esonerava le liste legate a un partito europeo che avesse eletto eurodeputati all'ultima elezione, non avrebbe dovuto raccogliere le firme se avesse presentato un contrassegno composito, mentre a seguito dell'emendamento di Fratelli d'Italia (pur se riformulato) dovrebbe raccogliere le sottoscrizioni, essendo già trascorsa gran parte dei 180 giorni di tempo anteriori al termine di deposito delle candidature. 
Secondo gli autori della lettera, "una simile modifica, a poche settimane dalla scadenza del termine per presentare le firme, [...] è però evidentemente incostituzionale, perché non prevede una norma transitoria, e genera una evidente disparità, [...] perché incide su una situazione giuridica di vantaggio già conseguita, e dunque retroattivamente su diritti 'quesiti', particolarmente sensibili trattandosi di diritti elettorali". In particolare, per gli scriventi si deve tenere conto di quanto deciso più volte dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, per cui "un legislatore nazionale violerebbe i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento qualora adottasse, in modo improvviso e imprevedibile, una nuova legge che sopprime un diritto di cui godevano fino a tale momento i soggetti passivi, senza lasciare a questi ultimi il tempo necessario per adattarsi, e ciò senza che lo scopo da conseguire lo imponga".
Se dunque il Partito della Sinistra europea e il presidente del gruppo GUE al Parlamento europeo nel 2019 avevano dato mandato per la presentazione del contrassegno della lista La Sinistra (contenente le miniature dei rispettivi emblemi europei) e le liste erano state regolarmente ammesse sulla base della decisione del 2014 dell'Ufficio elettorale nazionale sui Verdi europei, ritenendo come sufficiente fattore di serietà l'elezione di europarlamentari da parte del partito politico europeo di riferimento anche in altri paesi, l'emendamento fatto approvare da Fdi ha reso improvvisamente necessario l'aver eletto europarlamentari, che innalza in prospettiva l'asticella per ottenere l'esenzione dalla raccolta firme, ma lo fa anche con riguardo alle elezioni europee per cui le candidature si presentano tra un mese e mezzo, poco più di un quarto del tempo previsto dalla legge n. 53/1990 per la raccolta delle firme (tempo sfruttato in pieno, invece, da chi sapeva già che non avrebbe avuto nessuna possibilità di essere esonerato).
Per il Prc e per la Sinistra europea la messa in dubbio della "legittima aspettativa, sulla base della legge vigente, di essere esentati" e il cambio delle regole "nella decorrenza dei termini non deve essere ritenuto possibile": le regole si possono sempre cambiare, "ma con effetto dalle successive tornate elettorali, evitando di ledere situazioni già completamente maturate, come, nel caso di specie, il diritto a presentarsi della lista degli scriventi. E d’altra parte ammettere una simile modifica a meno di due mesi dalla scadenza, significa ammettere modifiche delle regole financo a pochi giorni, o il giorno prima, del termine di scadenza per la consegna delle firme".
La lettera non lo cita, ma non sembra possibile trascurare il precedente pesante della sentenza  Ekoglasnost contro Bulgaria della Corte europea dei diritti dell'uomo (6 novembre 2012): lì si legge che "la stabilità della legislazione elettorale assume una particolare importanza per il rispetto dei diritti garantiti dall’articolo 3 del Protocollo n. 1", perché "se uno Stato modifica troppo spesso le regole elettorali fondamentali o se le modifica alla vigilia di uno scrutinio, rischia di scalfire il rispetto del pubblico per le garanzie che si presume assicurino libere elezioni o la sua fiducia nella loro esistenza". L'adozione di misure restrittive "poco tempo prima dello scrutinio [...] può rivelarne il carattere sproporzionato". La sentenza ha ovviamente citato il Codice di buona condotta in materia elettorale della Commissione di Venezia - più volte ricordato su questo sito - che in una delle sue disposizioni sottolinea l’importanza della stabilità del diritto elettorale, per cui non dovrebbero essere mutate le regole fondamentali del sistema elettorale meno di un anno prima delle elezioni, potendo essere interpretate modifiche più a ridosso, "seppur in assenza di una volontà di manipolazione, come legat[e] a interessi di parte congiunturali". Questo vale per le norme sulla modalità dello scrutinio, la composizione delle commissioni elettorali e la suddivisione in seggi elettorali delle circoscrizioni, ma la Corte Edu ha ritenuto che "anche le condizioni di partecipazione alle elezioni imposte alle formazioni politiche facciano parte delle regole elettorali fondamentali" e "l'introduzione di nuove esigenze poco tempo prima della data delle elezioni può indurre, in casi estremi, alla squalifica d’ufficio di partiti e coalizioni di opposizione, che beneficiano di un sostegno popolare importante, e così avvantaggiare le formazioni politiche al potere"; non è forse quest'ultimo il caso della lista che il Prc si preparava a copresentare, ma le questioni legate al tempo della modifica delle norme restano intatte. Anche perché, ferma restando la legittimità di affrontare con congegni appositi "il serio problema posto dalla partecipazione alle elezioni di numerose formazioni senza una vera legittimità politica ed elettorale", è vero che occorre presentare e approvare per tempo le norme, per approntare "una soluzione adeguata al problema dei 'partiti politici fantasma' pur rispettando il principio della stabilità delle regole fondamentali della legislazione elettorale".
 

I nuovi emendamenti in Assemblea

L'approdo oggi pomeriggio (dalle ore 16) del disegno di legge di conversione in aula a Palazzo Madama è stato preceduto dalla presentazione di vari emendamenti su vari punti. Si è già ricordato come la massima attenzione sia stata attratta dagli emendamenti della Lega sul terzo mandato per i presidenti delle giunte regionali (bocciato: 26 sì, 112 no, 3 astensioni) e sull'elezione dei sindaci dei comuni superiori con il 40% senza il ballottaggio (quest'ultimo ritirato e trasformato in ordine del giorno - poi approvato, con 81 voti a favore e un contrario, ma senza partecipazione al voto delle opposizioni - con l'annuncio del presidente del gruppo leghista Massimiliano Romeo di un'indisponibilità al ritiro alla prossima occasione), ma non può sfuggire l'attenzione sugli emendamenti relativi alla presentazione delle candidature alle elezioni europee.
Due proposte, in particolare, sono state presentate da Alleanza Verdi e Sinistra, con primo firmatario Peppe De Cristofaro. se la prima punta alla soppressione della disposizione introdotta in commissione (per ritornare alla condizione del 2019), la seconda - che chi scrive conosce piuttosto bene - propone di affiancare all'esenzione per i partiti costituiti in gruppo e quelli che abbiano ottenuto seggi in ragione proporzionale (non anche nei collegi uninominali, in base a quanto si legge) e per i partiti che abbiano ottenuto almeno un seggio in Italia alle ultime elezioni europee (purché la forza politica italiana sia affiliata a un partito europeo costituito in gruppo a Strasburgo) un'esenzione per "le liste presentate da uno o più partiti o gruppi politici affiliati a un partito politico europeo che risulti iscritto al registro istituito dall'articolo 7 del regolamento (UE, Euratom) n. 1141/2014 e che nell'ultima elezione abbia ottenuto, attraverso i partiti o gruppi politici nazionali affiliati, almeno un seggio al Parlamento europeo". Questa previsione consentirebbe di nuovo la possibilità di presentare liste per le forze italiane appartenenti a un partito europeo che abbia eletto europarlamentari in altri paesi europei; lo stesso emendamento precisa però che l'affiliazione al partito europeo sia "certificata a mezzo di dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante del rispettivo partito politico europeo a beneficio di una sola lista da presentare nelle circoscrizioni italiane e autenticata da un notaio o da un'autorità diplomatica o consolare italiana": non sarebbe più possibile, dunque, la compresenza di più liste esenti da firme per il riferimento al medesimo partito europeo per il tramite di diversi partiti aderenti (com'era accaduto nel 2019 con le liste di Popolo della Famiglia - Alternativa popolare e Popolari per l'Italia).
Un altro emendamento è stato presentato da Azione, a firma di Mariastella Gelmini e del senatore giurista Marco Lombardo: esso prevede che solo a partire dalle elezioni europee successive al 2024 siano esonerati i partiti "costituiti in gruppo parlamentare nella legislatura in corso entro il 30 settembre dell'anno precedente, anche in una sola delle due Camere" o che abbiano ottenuto almeno un seggio in ragione proporzionale; l'esenzione sarebbe prevista anche per le liste espressioni di partiti che abbiano eletto almeno un europarlamentare in Italia alle elezioni europee precedenti (purché, anche qui, quei partiti siano membri di un partito europeo costituito in gruppo); si prevede poi, probabilmente per evitare interpretazioni difformi tra gli uffici elettorali, che "I presupposti per l'esonero dalla raccolta firme [...] sono riconosciuti ai partiti e ai gruppi politici, su richiesta degli stessi, dalla Direzione centrale dei servizi elettorali del Ministero dell'Interno entro il 31 ottobre dell'anno precedente a quello delle elezioni", con decadenza dal beneficio se non si fa richiesta in tempo.
L'attenzione più rilevante va però all'emendamento presentato da Fratelli d'Italia (stessi firmatari dell'emendamento presentato in commissione - Marco Lisei, Costanzo Della Porta, Domenica Spinelli, Andrea De Priamo - cui si aggiunge Michele Barcaiuolo) che "limitatamente alla elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia del 2024" riduce della metà "il numero minimo delle sottoscrizioni richiesto [...] per la presentazione delle liste dei candidati in ciascuna circoscrizione elettorale", per cui occorrerebbero almeno 15mila firme per ogni circoscrizione (75mila in tutto) e comunque almeno 1500 per ogni Regione. Considerando che è la stessa forza politica ad avere proposto un ammorbidimento significativo - sia pure una tantum - del requisito delle firme, dopo che il primo firmatario aveva detto che le firme non erano in numero così elevate, non è improbabile che la moral suasion richiesta da Rifondazione comunista al Presidente della Repubblica abbia avuto qualche effetto. 
Tanto la Commissione (con il presidente Balboni) quanto il governo (con la sottosegretaria Ferro) hanno dato parere contrario agli emendamenti delle opposizioni, favorevole a quello della maggioranza. Se l'aula ha bocciato gli emendamenti a prima firma De Cristofaro (quello volto a tornare allo stato del 2019 con 48 sì, 77 no e un'astensione; quello teso a restaurare l'esenzione per via solo europea con 43 sì, 77 no e 4 astenuti) e quello di Azione (33 sì, 77 no, 16 astenuti), la proposta di Fdi sul dimezzamento delle firme per il solo 2024 è invece passata con 106 voti favorevoli, 3 contrari e 18 astenuti.

Considerazioni finali

La prima valutazione va fatta sul metodo. E non si tratta solo delle profonde perplessità sulla correttezza di modificare dettagli rilevanti delle norme sul voto e sul procedimento elettorale quando mancano poche settimane alla presentazione delle liste. L'emendamento di Fratelli d'Italia che ha ridotto le esenzioni per le elezioni europee non è mai stato illustrato dai presentatori in Commissione (nelle sue varie versioni), così come non è stato illustrato quello che ha dimezzato le firme per il solo 2024, così come non si sono registrati interventi di Fdi sugli altri emendamenti in materia di esonero. Non sapremo mai, quindi, perché Fdi ha voluto esporsi con il taglio alle esenzioni, perché ha fatto mezzo passo indietro, perché oggi ha accettato - pur avendo detto in passato alla stampa, per bocca del primo firmatario, che "il numero delle firme non è così alto" - di dimezzare le firme, anche se solo per questa volta. Non sarà prassi illustrare tutti gli emendamenti, ma questo era particolarmente importante e il silenzio non può non colpire (non in positivo ovviamente). 
La questione firme ed esenzioni è stata in effetti lambita da tre interventi di senatori di Fratelli d'Italia; due di questi non paiono convincenti ("È prevista anche l'esenzione delle sottoscrizioni di firma per le elezioni europee per il partito che abbia ottenuto con il suo contrassegno un seggio nelle ultime elezioni europee" di Domenica Spinelli, cofirmataria dell'emendamento, ma quell'esenzione c'era già, mentre ne sono state eliminate altre...; De Priamo, altro cofirmatario, ha parlato invece di "norme per la semplificazione delle firme per le elezioni europee, sulle quali il collega Lisei ha fatto un attento lavoro emendativo", ma "semplificazione" non pare il termine corretto...). Il terzo intervento, quello di Costanzo Della Porta, sembra il più appropriato: "con il decreto-legge in esame poniamo anche un freno alle cosiddette liste fasulle. Ho letto dei dati e alle scorse elezioni europee si presentarono 18 liste, dieci delle quali hanno preso meno dell'1% e sette di queste dieci hanno preso meno dello 0,5%. Pertanto, nessuno vuole vietare la libera partecipazione alle consultazioni elettorali, però non dobbiamo neanche alterare le regole del gioco; per questo, restringere l'ambito di chi può partecipare non avendo consenso ci sembra un fatto piuttosto naturale"; meno naturale - ci si permette di dire - è farlo a ridosso della presentazione delle liste, senza prevedere fin dall'inizio norme una tantum per attutire il colpo per chi aveva legittime aspettative circa l'esenzione e avrebbe comunque le forze di raccogliere metà delle firme previste (da apprezzare, invece, l'invito dello stesso Della Porta affinché la Camera approvi presto il ddl Pirovano - ex Augussori sulle elezioni nei piccoli comuni). 
Da ultimo, appartiene a Fdi anche la sottosegretaria Wanda Ferro, che qualche frase sul punto l'ha detta: "La raccolta delle firme per le elezioni europee è già iniziata e i partiti hanno termini più stretti per raccogliere le firme nel numero previsto per legge. Ciò ha visto da parte della maggioranza la volontà di questo taglio di oltre il 50 per cento, per quella volontà di chi sempre e comunque rispetta credo la politica e che ha trovato accoglimento da parte del Ministero dell'interno". Ciò ovviamente spiega la legittimità e ragionevolezza del taglio, ma non la scelta della stretta sulle esenzioni (ma non toccava certo al governo o alla sottosegretaria Ferro questa spiegazione).
Per correttezza occorre dire che nemmeno gli altri partiti proponenti di emendamenti hanno illustrato le loro proposte nel merito: fanno eccezione - in sede di discussione generale - solo le parole pronunciate dal senatore De Cristofaro (Avs), molto simili a quelle dette in Commissione: "Trovo eccessivamente restrittiva [...] la normativa che ridisegna la possibilità di presentarsi alle elezioni europee. La considero sbagliata nel metodo e nel merito: nel metodo, perché credo che sia sbagliato cambiare le norme a pochi mesi o addirittura a poche settimane dal voto; nel merito, perché penso che sia troppo ristretta la possibilità di presentarsi alle elezioni, soprattutto per chi è fuori dal Parlamento. Vedo che c'è un emendamento che riduce il numero delle firme: questo mi sembra comunque un passo in avanti positivo, ma anche su questo probabilmente si doveva evitare una forzatura che nel corso delle giornate passate c'è stata e che dal mio punto di vista vede un forte elemento di dissenso".
Qualcosa di più si è detto negli interventi finali, con Gelmini (Azione) che ha ricordato come "si sia cercato - e lo abbiamo respinto con perdite - di modificare le regole del gioco a gioco iniziato e quindi non abbiamo consentito un esonero dalle liste delle firme che fosse fatto in modo da agevolare questo o quel partito"; "In un momento in cui è sempre più difficile chiamare al voto gli elettori e avere la loro partecipazione, si dovrebbe favorire al massimo, in ogni sua forma e in qualsiasi modo la possibilità di partecipare alle elezioni e anche all'elettorato passivo di candidarsi - ha aggiunto Dafne Musolino, di Italia viva, già Sud chiama Nord e non è forse inutile notarlo -. Invece, sempre con un emendamento della maggioranza viene introdotta una norma nel provvedimento [...] che voleva togliere la possibilità di non dover raccogliere le firme a quei partiti che, pur avendo eletto dei rappresentanti e quindi pur avendo dei parlamentari eletti, non li avevano eletti al proporzionale, ma soltanto ai collegi uninominali. Che cosa avevano fatto di male questi partiti [...] per meritarsi di non poter godere dell'esenzione della raccolta delle firme, che è nel testo della legge elettorale che vigeva fino a quando non è stato pubblicato questo decreto-legge? [...] Fatto sta che dopo una vibrata protesta di alcuni movimenti politici, condivisibile perché questa è una norma francamente antidemocratica nel momento in cui cambi le regole del gioco a novanta giorni dalle elezioni (indipendentemente da quali siano questi movimenti politici), è stato fatto anche qui un piccolo aggiustamento e si consente l'ammissione anche se si hanno solo eletti all'uninominale e non nel sistema proporzionale". 
Critiche sono arrivate anche da Alessandra Maiorino (M5S): "Poi avete cambiato le regole del gioco (peccato che la democrazia non è un gioco, ma è una cosa seria) a due mesi dalla scadenza elettorale delle europee. [...] Avete ristretto le condizioni per cui i partiti si possono presentare alle competizioni europee, complicando di gran lunga la situazione. Poi, evidentemente, presi da pentimento, avete allargato quelle restrizioni, per cui oggi chi deve raccogliere le firme non ne deve più raccogliere 150.000, ma 100.000. Peccato però che chi si stava preparando alle competizioni europee aveva già trovato una soluzione a norma vigente prima di questa roba che votiamo oggi. [...] Insomma, avete fatto un pasticcio inenarrabile e antidemocratico [...] a due mesi dalla presentazione delle liste necessarie per competere alle elezioni europee. Per cui avete inficiato i rapporti democratici e la possibilità di partecipare democraticamente alle elezioni". Per correttezza va detto che le firme da raccogliere sarebbero almeno 75mila e non 100mila; altrettanta correttezza richiede di segnalare che negli interventi dei senatori del Partito democratico - al di là delle parole di Dario Parrini, in cui si cita "tutta un'altra serie di situazioni, per le quali sarebbe stato invece necessario adottare in tempo utile, non a ridosso del voto, con un confronto ampio in Parlamento e senza la tagliola che in qualche modo il decreto-legge rappresenta, un intervento organico: non un intervento che sembra calato dall'alto, imposto e quindi avente le caratteristiche quasi di una forzatura, che viene portata avanti senza tener conto a sufficienza delle prerogative del Parlamento" - non si riesce a trovare un solo cenno esplicito alla questione delle esenzioni.
Il disegno di legge è stato approvato poco prima delle ore 21, con 79 sì, 39 no e 9 astenuti. Ora tocca alla Camera approvarlo entro la scadenza del 29 marzo. Nel frattempo le liste che pensano di poter raccogliere 75mila firme (e almeno 1500 per Regione) dovranno concentrare tutte le loro forze per cercare di raggiungere l'obiettivo: qualche simbolo che contava sulla "via europea" non arriverà sulla scheda, ma forse la moria sarà minore del previsto.

martedì 12 marzo 2024

Europee, Insieme liberi e Democrazia sovrana popolare in cerca di firme

Mentre manca poco più di un mese e mezzo alla presentazione delle liste per le elezioni europee dell'8 e del 9 giugno (la finestra per il deposito presso i cinque Uffici circoscrizionali è tra il 30 aprile e il 1° maggio), è opportuno dedicare un po' di spazio a due delle formazioni politiche che già da settimane hanno iniziato a muoversi per la raccolta delle sottoscrizioni, sapendo di non poter contare su qualche forma di affiliazione europea che potesse fondare un'esenzione sulla base della prassi del 2019 (ovviamente prima che l'approvazione di un emendamento di Fratelli d'Italia sostanzialmente sbarrasse la strada all'esenzione per forze politiche che non abbiano eletto deputati, senatori o europarlamentari). Al di là dei gazebo organizzati in varie località d'Italia, infatti, nei siti di vari comuni è apparsa la notizia della possibilità di firmare per la presentazione di due liste che hanno lasciato i moduli presso gli uffici per le relazioni con il pubblico, consentendo dunque ai residenti di sottoscrivere le candidature.
Il primo soggetto politico da considerare è Insieme liberi, non un partito ma una "confederazione politica" che ha partecipato per la prima volta alle elezioni regionali del Friuli - Venezia Giulia dello scorso anno: la sede legale, tra l'altro, è a Gorizia e il legale rappresentante è Ugo Rossi, consigliere comunale di Trieste. All'epoca delle regionali la lista fu promossa da Italexit, Ancora Italia (la parte di associazione che ha ritenuto di continuare il cammino con lo stesso nome convocando il congresso riminese di gennaio del 2023 ed è guidata da Nicola Vedovino), Movimento 3V, Movimento Gilet Arancioni, il Popolo della Famiglia, la Lista Civica Cambiamenti per Cervignano, le associazioni Il Quadrifoglio, Alister, Solidar, il Sindacato dei Popoli Liberi, il Comitato Tutela Salute Pubblica FVG e il comitato Personale UniUd contro il greenpass; il 23 ottobre 2023, però, al teatro Duse di Roma è politicamente nata la citata confederazione politica, sorta "per dare voce a chi cerca l'unione del vero dissenso come forza propulsiva del cambiamento, dopo un lavoro congiunto tra militanti provenienti da varie regioni italiane e appartenenti a vari movimenti e associazioni politico-culturali" (così si leggeva nel comunicato di lancio). 
All'origine del progetto politico c'è la reazione a quella che i fondatori hanno chiamato la manifestazione del "vero volto" delle "nuove dittature" delle "élite finanziarie": "È ormai chiaro il disegno del neoliberismo autoritario: condurci su una strada senza ritorno, fatta di mercati senza regole, paesi esautorati di ogni sovranità, cittadini senza diritti, privi di storia e di identità, ridotti a sopravvivere immersi in un controllo pervasivo e nella miseria crescente, sia morale che materiale. L'obiettivo principale di Insieme liberi è porre l’uomo - nato intrinsecamente libero - al centro di ogni scelta, rovesciando il paradigma attuale, che vede l'essere umano un mero strumento per l’arricchimento sfrenato delle oligarchie finanziarie; un uomo che deve poter perseguire la propria felicità e difendere la propria dignità e i propri diritti, opponendosi al globalismo acefalo" e a "un clima di continua emergenza". Insieme liberi si pone dunque come "comunità politica dal basso a struttura orizzontale, un organismo nazionale finalizzato ad unire sotto un unico simbolo, ma tenendole distinte, le tante anime che si riconoscono nella difesa degli stessi valori, in primis la libertà! Nessun legame con i partiti di sistema, nessun leader supremo da poter corrompere, solo decisioni assunte dalla base, condivise nei territori di riferimento dove tali decisioni vengono attuate, in una rete di coesione, solidarietà e collaborazione reciproca fra tutti gli aderenti", nel culto della centralità umana, della tutela della vita e dell'esercizio "della sovranità nazionale, a partire da quella monetaria, attraverso l’uscita da organismi sovranazionali - quali Ue, Onu, Oms e Nato - e da trattati che comportano cessioni di sovranità", nonché con il ripudio di ogni strumento internazionale non diplomatico e di "ogni limitazione delle libertà personali, attuata attraverso strumenti di controllo e di condizionamento psicologico, e la tutela dei diritti e delle libertà dell’individuo in ogni ambito, compreso quello terapeutico".
Lo statuto dell'associazione politica Liberi insieme descrive il simbolo della confederazione, "delimitato sulla circonferenza da una linea blu che nella parte inferiore diviene parte integrante di una porzione, anch’essa blu, delimitata nella parte inferiore della circonferenza stessa, mentre nella parte superiore da un profilo che partendo da destra in maniera rettilinea presenta, in prossimità dell’ideale linea mediana verticale, la prima di quattro prominenze. Proseguendo verso sinistra si ha la seconda prominenza di altezza uguale al doppio della prima, la terza prominenza di altezza uguale a quattro volte quella della prima e infine la quarta prominenza che con altezza uguale al triplo della prima declina fino a congiungersi alla circonferenza blu. [...] Nella parte superiore della circonferenza, separato dalla porzione inferiore tramite una linea di colore verde, bianco e rosso che ne segue l’andamento, su sfondo bianco, è rappresentato un sole nascente di colore giallo ocra, posizionato in basso a destra subito al di sopra della porzione inferiore blu, dal quale partono cinque raggi di colore giallo sfumato che avvicinandosi alla circonferenza esterna si intensificano assumendo una colorazione netta che ne rende i contorni nitidi. In primo piano in posizione centrale nella parte superiore del contrassegno, vi sono le parole sovrapposte in stampatello di colore blu con contorno bianco 'INSIEME LIBERI'". Nella porzione blu del cerchio, al posto del riferimento territoriale (visto alle regionali in Friuli - Venezia Giulia), questa volta si trova la parola "UscITA", con le ultime tre lettere tinte del tricolore nazionale, per significare l'intenzione di abbandonare l'Unione europea per recuperare parte della sovranità nazionale.
Si presenta come più noto a livello nazionale, invece, il contrassegno di Democrazia sovrana e popolare, altro soggetto politico che si pone come "coalizione di forze" e che - dopo vari mesi di attività nel 2023, inclusa la partecipazione alle elezioni suppletive senatoriali di Monza del 22 e 23 ottobre 2023 - ha celebrato il suo congresso fondativo il 27 e 28 gennaio 2024, con l'idea di combattere "il carattere totalitario della cosiddetta 'democrazia liberale'" e concorrere alla "accelerazione della rottura della già decadente costruzione di Bruxelles", propugnando "il ritorno della politica sopra l’economia e la finanza". Il risultato dovrebbe essere ottenuto attraverso vari obiettivi da perseguire, primi tra tutti la "fine dell'egemonia unipolare targata Usa e apertura di una nuova era multipolare", la "rottura della Ue e della Nato" (con il recupero della sovranità monetaria e l'uscita dall'Euro" e il concorso a un "nuovo equilibrio internazionale a 'cerchi concentrici'" che preveda il "recupero di una piena sovranità militare ed economica interna" con relazioni paritarie con gli altri Paesi per perseguire obiettivi di interesse generale e strategico; altri punti di rilievo riguardano il ristabilire il "primato del lavoro sulla rendita" (con la fine della libera circolazione dei capitali e la tassazione delle multinazionali alla pari di commercio e artigianato) e un'idea di "progresso che liberi l’uomo senza schiavizzarlo", la lotta alle agenzie di rating e alle società straniere che violano la libertà di espressione, l'aumento della produzione interna, la ricostruzione dello stato sociale (con lotta alle "disuguaglianze tipiche del capitalismo finanziario"); non mancano la "disarticolazione di centri di prostituzione intellettuale come l’Oms che strumentalizzano eventuali emergenze per ottenere cambiamenti di natura politica", l'abolizione dei contributi pubblici ai mass media ("evitando che il pensiero unico del mainstream sia addirittura finanziato dal popolo") e la lotta al neocolonialismo.
La nuova "coalizione di forze" che intende unire parte del "fronte del dissenso" (cosa che aveva già fatto con la lista Italia sovrana e popolare alle scorse elezioni politiche) ha scelto come presidente Francesco Toscano (già segretario di Ancora Italia, poi leader di Ancora Italia Sovrana e Popolare - formazione in continuità politica con Ancora Italia e con la lista del 2022, che dopo l'assemblea del 26 novembre 2022 ai Frentani ha scelto di cambiare simbolo, sostituendo il blu con il verde e il volto tricolore di Dante con la testa d'Italia), come coordinatore Marco Rizzo (presidente onorario del Partito comunista che aveva fondato come Comunisti sinistra popolare nel 2009 e che ora è guidato da Alberto Lombardo) e come legale rappresentante Antonello Cresti. Il simbolo è quello già visto alle suppletive e alle contemporanee elezioni provinciali trentine dello scorso anno: del simbolo di Italia sovrana e popolare è stata mantenuta la stellina rossa (usata come "puntino sulla i" prima su "Italia", ora su "Democrazia") e l'impiego di una parte manoscritta in rosso (prima "e popolare", ora "sovrana"); il tricolore, che nel 2022 tingeva un segmento curvilineo, ora è creato da due tracce di pastello (una verde e una rossa) che hanno tutta l'aria di somigliare a quelle inventate da Bruno Magno per i Progressisti nel 1994 e ruotate di 180 gradi (anche se in effetti i tratti sono stati disegnati ex novo).
I due simboli di Insieme liberi e di Democrazia sovrana popolare si sono dunque attivati con congruo anticipo per determinare le candidature e sottoporle alle firme del corpo elettorale, nella speranza che il tempo sia sufficiente per superare le 150mila firme richieste dalla legge.

giovedì 7 marzo 2024

Europee, Sud chiama Nord lancia la lista Libertà: Castelli primo partner

Quando era stata resa nota la prima versione dell'emendamento di Fratelli d'Italia (a prima firma di Marco Lisei) al "decreto elezioni 2024" per ridurre le ipotesi di esenzione dalla raccolta delle firme per le elezioni europee, una delle voci più critiche era arrivata da Cateno De Luca: il sindaco di Taormina (dopo esserlo stato di Fiumedinisi, Santa Teresa di Riva e Messina) il 15 febbraio aveva parlato addirittura di un "colpo di Stato", parlando in un post sui social di "un emendamento anti Sud chiama Nord". Per il fondatore del partito, quella norma - non concedendo più l'esonero dalla ricerca dei sottoscrittori alle sigle che avevano eletto parlamentari solo nei collegi uninominali - avrebbe colpito "solamente la nostra forza politica" (anche se non era così, visto che ci avrebbero rimesso sicuramente anche +Europa e Centro democratico), per cui quella proposta di modifica di fatto avrebbe messo "a rischio la democrazia del nostro Paese". "Non si è mai verificato - aveva concluso - che iniziato il gioco, e quindi la strada verso le elezioni Europee, si cambino le regole": in effetti qualcosa di simile era già successo, anche se con riguardo ad altre elezioni (nel 1990, per esempio, quando mancavano poche settimane al voto più consistente, il numero di firme da raccogliere si moltiplicò, fino a decuplicare nei comuni maggiori), ma in questo caso la pubblicità è stata decisamente maggiore.
La riformulazione dell'emendamento - nel testo approvato due giorni fa in I commissione al Senato - che ha riesteso l'esonero ai partiti che avevano eletto parlamentari nei collegi uninominali ha certamente soddisfatto alcune forze politiche (mentre ne ha scontentate altre), inclusa quella di Cateno De Luca. Ovviamente, al di là dei partiti maggiori - la cui esenzione non è peraltro mai stata in discussione - il problema principale è superare la soglia del 4%: se per +Europa - che nel 2019, insieme a Italia in Comune e Psi, arrivò al 3,11% - l'obiettivo non è scontato ma non è nemmeno così lontano, per Sud chiama Nord (0,76% alle politiche del 2022) la sfida è decisamente più ardita, dunque ogni forza che possa concorrere al conseguimento dell'obiettivo può essere utile. Così il 2 marzo, nel secondo giorno dell'assemblea nazionale di Sud chiama Nord svolta a Taormina, Cateno De Luca ha delineato il percorso, a partire dal "sondaggio" svolto tra gli iscritti convocati al Palazzo dei Congressi. 
Scartate le ipotesi di non partecipare alle elezioni europee (3%), di inserire candidati in una lista nazionale che però ha idee diverse rispetto a ScN su Europa e autonomia differenziata (2%) o di presentarsi candidati solo nella circoscrizione Isole e comunque all'interno di un partito nazionale, come accadde nel 2019 con Forza Italia (1%), era stata sicuramente più apprezzata l'idea di correre in tutt'Italia con il simbolo di Sud chiama Nord (22%); aveva però vinto in modo nettissimo, con il 72%, il proposito di "promuovere un nuovo progetto politico con il nostro simbolo che includa anche altre forze politiche che si oppongono alle attuali politiche nazionali ed europee e che rimettano al centro l'Italia, con il comune denominatore: meno Europa, più Italia, più autonomia e più equità". In quelle condizioni, e riottenuto il beneficio dell'esenzione ("Non ce l'ha regalato nessuno - ha sottolineato De Luca - l'abbiamo ottenuto eleggendo due parlamentari che ci hanno messo in condizione di non dover raccogliere le firme alle europee, a differenza di partiti che alle elezioni politiche hanno ottenuto percentuali più alte delle nostre, ma avevano un consenso orizzontale che non ha prodotto eletti, a differenza del nostro consenso verticale e radicato"), si è delineato il nuovo progetto elettorale, nato per dare insieme voce ai territori - ma non solo - e proporre un'idea di Europa diversa da quella convenzionale (a partire da un tema che sta molto a cuore ai proponenti, cioè la contestazione della Politica agricola comune perseguita sin qui). 
Il progetto si è subito tradotto in un contrassegno potenziale e - naturalmente - provvisorio, con il simbolo di Sud chiama Nord ben visibile anche se in miniatura (in una versione simile a quella usata alle elezioni del 2022, con l'espressione "De Luca sindaco d'Italia", ma con il cognome in maggiore evidenza a dispetto della dimensione ridotta) e cinque cerchi vuoti intorno, in attesa di riempirsi con (alcune del)le forze che stipuleranno l'alleanza per la lista comune; nel mezzo, su una fascia biconcava blu, la parola "Libertà". "Potevamo essere egoisti e chiedere a chi voleva candidarsi con noi di farlo solo come Sud chiama Nord - ha proclamato De Luca - oppure potevamo prendere questo simbolo, darlo come 'lenticchia' a uno dei gruppi che ci ha contattato, farci dare in cambio dell'esenzione un bell'assegno di 500mila euro e pagare magari qualche debito. Siamo invece generosi e diciamo alle forze politiche e civiche di venire con noi, perché se il progetto funziona funzionerà per tutti noi e non solo per Sud chiama Nord: chi verrà con noi lo farà, a prescindere dalle dimensioni dei simboli nel contrassegno, in nome dell'elemento che ci unisce, cioè la libertà. Per ogni giovedì di marzo abbiamo prenotato e 'bloccato' la sala stampa della Camera, per presentare le forze politiche che verranno con noi in questo progetto e vedremo chi accetterà di presentarsi; il 6 aprile sarà presentato il progetto politico-elettorale definitivo guidato da Sud chiama Nord e i cerchi del contrassegno che ora sono vuoti prenderanno la loro sembianza definitiva".
Nel contrassegno di Sud Chiama Nord di certo non figurerà il logo di Azione (né ovviamente l'inverso), a dispetto di alcune voci che erano circolate nei giorni precedenti. "C'era una trattativa con Carlo Calenda - ha riconosciuto De Luca - ma quando lui ha iniziato a tenere una linea sempre più lontana dai nostri principi ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che non possiamo svendere la nostra identità e la nostra storia per un seggio a Bruxelles, viviamo lo stesso. Caro Calenda, non ti porre più il tema di Sud chiama Nord, perché Sud Chiama Nord con te non può mai venire".
Ma chi saranno, dunque, i compagni di viaggio di Sud chiama Nord (che dall'inizio di gennaio ha come presidente Laura Castelli, ex viceministra ed ex esponente del MoVimento 5 Stelle)? Il primo è stato reso noto oggi, nella prima conferenza stampa alla Camera annunciata da De Luca nei giorni scorsi: davanti ai giornalisti - oltre a De Luca, Laura Castelli e all'unico parlamentare su cui ora il partito può contare, Francesco Gallo, già vicesindaco di Messina - si è materializzato Roberto Castelli, parlamentare per sei legislature della Lega Nord ed ex ministro della giustizia, attualmente segretario federale del Partito Popolare del Nord - Autonomia e Libertà, formazione presentata lo scorso 27 novembre (due mesi dopo la sua uscita dalla Lega). Un partito - come si legge nel sito - "costituito da Donne e Uomini liberi delle Terre del Nord che si riconoscono nei valori di libertà, autonomia e democrazia; nei valori della tradizione giudaico-cristiana, nella difesa delle persone che [...] lavorano per consentire alle future generazioni una vita libera e degna di essere vissuta; nei valori della solidarietà, dell’attenzione per i fragili e per i più bisognosi. Crediamo nella sovranità sulle nostre terre e nella difesa dei nostri popoli che da secoli vivono, [...] lavorano e faticano per garantire alla future generazioni una vita degna e libera; riteniamo che tutti abbiano diritto allo studio, alla crescita personale e al benessere economico. Rivendichiamo il diritto a chiedere la più ampia autonomia di governo territoriale, così come previsto dal titolo V della Costituzione; rivendichiamo il diritto di chiedere la riforma della Costituzione, ai sensi dell'art. 138, per perseguire un assetto dello Stato in senso federale, sulla base del principio della sussidiarietà; denunciamo l’eccesso di potere dello Stato concepito ancora sul retaggio napoleonico [...]; esortiamo noi stessi [...] a servire lealmente il mandato popolare e le istanze politiche del Nord".
Il soggetto politico si è dotato di un simbolo - riprodotto in miniatura nella parte bassa del contrassegno - che richiama le bandiere di tante terre del Nord con la croce di San Giorgio (impiegata a Milano, a Genova, a Padova, a Varese, a Bologna e altrove) ed è tinto non di rosso ma di un verde foresta, che rimanda alla terra; lo stesso colore, inutile negarlo, ricorda molto il verde che tingeva il "Sole delle Alpi" dell'iconografia leghista secessionista. Il nome, "Partito popolare", richiama il popolo come custode dell'identità e come titolare della sovranità sulla base dell'art. 1 della Costituzione; non c'è ovviamente bisogno di spiegare il riferimento al Nord, fulcro di un progetto che - si legge sempre sul sito - non intende negoziare in alcun modo "i valori dell’Autonomia e della Libertà". 
Autonomia e Libertà, del resto, è il nome di un'associazione fondata dallo stesso Castelli nel mese di giugno del 2021. L'ente, che "si riconosce nei valori dell'identità, dell'autodeterminazione, dell'autonomia, delle libertà inalienabili e della fratellanza fra i popoli" e prende le mosse dagli esiti del referendum consultivo sull'autonomia in Lombardia e Veneto (22 ottobre 2017), di fatto è l'antecedente del Partito popolare del Nord (che, non a caso, come ultima parte del nome contiene lo slogan "Autonomia e Libertà" e riprende gli stessi colori del logo, il verde scuro e il blu, che qui tinge un'aquila che vola alta) e già prima si poneva come "un sicuro riferimento per gli autonomisti, federalisti, indipendentisti che sono alla ricerca di una casa politica e culturale", sempre nello sforzo di attualizzare il patrimonio ideale e della cultura politica autonomista.
"Per sei legislature - ha spiegato Castelli in conferenza stampa - ho combattuto in Parlamento per un diverso assetto dello Stato e contro il centralismo. Dopo aver abbandonato la politica, ho visto il segretario del mio partito cambiare legittimamente, ma completamente la linea, tradendo i nostri ideali: di federalismo e autonomia si sono perse le tracce, così mi sono ributtato nell'agone politico e, dopo un percorso, l'anno scorso abbiamo fondato questo partito, per lottare contro il centralismo di Roma e, ormai, anche contro quello di Bruxelles". Il primo incontro con il progetto di Sud chiama Nord, peraltro, è avvenuto meno di un anno fa: "Lo scorso luglio. alla Festa dei Popoli del Nord che abbiamo fatto a Ponti sul Mincio ha fatto 'irruzione' con i suoi Cateno De Luca, dicendo cose abbastanza sconvolgenti ma alle quali ho prestato attenzione: per la prima volta sentivo un partito del sud parlare di autonomia forte, di macroregioni, di federalismo fiscale sul modello della provincia di Bolzano, un concetto che nemmeno la Lega aveva osato proporre. Come si poteva rinunciare all'opportunità, alla tribuna delle elezioni europee che consente di andare in giro e sui media a dire che adottare un altro assetto statale conviene a tutti?" 
Castelli è consapevole della delicatezza dell'operazione politico-elettorale ("Non sarà facile per De Luca girare per le piazze del Sud e far capire e accettare la nostra collaborazione, come non sarà facile per me girare al Nord e parlare della nostra alleanza, ma siamo pronti"). L'ex ministro non ha mancato di rivolgersi ai compagni di strada e di partito di un tempo: "Ai leghisti delusi dico che grazie a questo progetto si potrà vedere la parola 'Nord' scritta due volte in un simbolo, mentre altrove non la si troverà proprio: anche solo per questo io partecipo con convinzione". 
"Il 22 settembre 2023 ho incontrato Umberto Bossi a Gemonio - ha aggiunto Cateno De Luca - e lui era contento di incontrarmi perché la sua visione della Lega non era quella della Lega attuale: il partito non era nato per annettere il Sud, ma per creare le condizioni perché in Meridione nascessero realtà autonomiste che si alleassero contro il centralismo. Quel disegno oggi si è avverato; in questa battaglia antisistema invitiamo a unirsi anche coloro che ora sarebbero costretti a raccogliere le firme e grazie a noi possono finire sulla scheda".
C'è dunque tempo perché si possa completare e assestare un potenziale nuovo "simbolo carambola", con un numero di fregi in miniatura destinato a salire. Sulla qualità grafica non ci si esprime; prevale però la curiosità di scoprire chi sarà coinvolto in questo progetto elettorale verso il voto europeo.

mercoledì 6 marzo 2024

Europee 2024, primo sì per il taglio alle esenzioni dalla raccolta firme

Ci è voluto più tempo del previsto, ma - con quasi due settimane di ritardo rispetto alla prima tabella di marcia - ieri sera la commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato l'emendamento alla legge di conversione del decreto-legge n. 7/2024 ("decreto elezioni 2024") che riduce sensibilmente le ipotesi di esenzione dalla raccolta delle firme per presentare le liste alle elezioni europee (a partire dalle prossime, previste per l'8 e il 9 giugno). Il testo, prima riformulato (e alleggerito) e poi accantonato, stavolta ha ottenuto il consenso della maggioranza dei membri dell'organo. Il cammino in commissione della legge di conversione non è ancora finito, potenzialmente è ancora possibile intervenire in aula; se però nulla cambierà, di fatto all'appuntamento elettorale di giugno - ma anche alle successive elezioni europee, ammesso che le norme non cambino di nuovo, magari a ridosso della presentazione delle candidature - non sarà più possibile evitare la raccolta delle sottoscrizioni grazie alla semplice adesione a un partito politico europeo rappresentato al Parlamento europeo

Emendamento riformulato, ma accantonato

Due settimane fa si era dato conto di come l'emendamento originario presentato da quattro senatrici e senatori di Fratelli d'Italia (primo firmatario Marco Lisei) fosse stato riformulato. Vale la pena ricordare che il primo testo presentato avrebbe esentato dalla gravosa raccolta delle sottoscrizioni richiesta per le elezioni europee - dalle 30mila alle 35mila per ogni circoscrizione e, comunque, almeno 3mila in ciascuna regione della circoscrizione - solo i partiti con almeno un gruppo parlamentare, quelli che alle ultime elezioni politiche avevano eletto deputati o senatori "in ragione proporzionale" e quelli che, essendo affiliati a un partito europeo dotato di gruppo a Strasburgo, avevano eletto almeno un europarlamentare in Italia (sapendo che, però, nel 2019 avevano avuto eletti solo forze che oggi hanno un gruppo parlamentare).
Il nuovo testo, reso noto il 20 febbraio, ha ampliato l'esenzione alle forze politiche che, essendosi presentate alle ultime elezioni politiche con proprie liste, avevano ottenuto almeno un eletto anche solo nei collegi uninominali. In questo modo, ai partiti esentati dalla prima versione (Fdi, Lega, Fi, Pd, M5S, Alleanza Verdi e Sinistra, Italia viva, Azione e Noi Moderati, grazie al gruppo; il Maie, grazie all'elezione di parlamentari in ragione proporzionale) si aggiungerebbero +Europa, Sud chiama Nord, Centro democratico, nonché Union Valdôtaine, Svp e quasi certamente il trentino Campobase (mentre solo un'interpretazione molto benevola potrebbe includere tra gli esonerati Italia al centro, Coraggio Italia e Udc).
Pure in quel modo, però, rimarrebbe sostanzialmente sbarrata la "via europea" all'esenzione, per come era stata aperta dall'Ufficio elettorale nazionale per il Parlamento europeo nel 2014, con la sua decisione sulla lista Verdi europei. In quel caso, infatti, il collegio di giudici della Corte di cassazione aveva accolto un'interpretazione estensiva dell'art. 12 della legge n. 18/1979 (che non prevedeva formalmente, pur dandolo probabilmente per scontato, che l'eurodeputato esentante fosse stato eletto in Italia): secondo quella nuova lettura, un partito italiano avrebbe potuto ottenere l'esonero quale affiliato a un partito politico europeo che alle precedenti elezioni europee avesse ottenuto almeno un eletto (anzi, fosse rappresentato al Parlamento europeo) in uno dei Paesi dell'Unione, purché si presentasse "un simbolo congiunto" del partito italiano e di quello europeo (e possibilmente si allegasse la dichiarazione del segretario del partito europeo che attestava l'affiliazione del soggetto politico nazionale). Com'è noto, nel 2019 quella via era stata percorsa da molte sigle, a volte perfino con qualche eccesso - esenzione ottenuta grazie a partiti europei non inseriti nel relativo registro, semplici associazioni politiche transeuropee o partiti di altri paesi che avevano eletto europarlamentari - non respinto però dagli Uffici centrali circoscrizionali
In sede di illustrazione degli emendamenti, se ci si basa sul resoconto sommario di commissione, non risulta vi fosse stata alcuna spiegazione dell'emendamento strozza-esenzioni (né della sua riformulazione). Giunto il momento del voto, però, in commissione si erano manifestati essenzialmente giudizi negativi, a partire da quello di Italia viva, che con la senatrice Dafne Musolino aveva tenuto a precisare che Iv non aveva partecipato alla scrittura dell'emendamento in oggetto e non si era mai prestata "a predisporre normative tese ad impedire o a rendere più difficoltosa la presentazione di liste alle consultazioni elettorali", peraltro volte "a modificare le regole del gioco a pochi mesi di distanza dalle elezioni europee, con la conseguenza di penalizzare soprattutto i partiti più piccoli"; questo non avrebbe impedito un voto favorevole, essenzialmente sulla scorta del riconoscimento dell'esenzione alle forze politiche che avevano ottenuto eletti alle Camere nei collegi uninominali (mentre in origine, come si è visto, si era proposto di riservare l'esonero ai partiti dotati di gruppo parlamentare - come Italia viva - o che avevano ottenuto eletti in ragione proporzionale, ottenendo dunque risultati più consistenti).
Più severo era stato il giudizio di Peppe De Cristofaro, di Alleanza Verdi e Sinistra, che aveva giustificato il voto contrario richiamando le fonti europee - in particolare, si segnala qui, il Codice di buona condotta in materia elettorale della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto ("Commissione di Venezia"), al punto 65, ma anche la Raccomandazione (UE) 2023/2829 della Commissione, al punto 3 - che invitavano alla stabilità del diritto elettorale, specialmente nell'ultimo anno prima del voto; allo stesso tempo, era stato stigmatizzato il venir meno dell'esenzione dalla raccolta firme dei "movimenti affiliati a un partito politico europeo costituito in Gruppo parlamentare al Parlamento europeo, anche in considerazione della complessità della raccolta di firme per le elezioni europee".
Perplessità erano state espresse anche da un partito della maggioranza, cioè dalla Lega, tramite Paolo Tosato: questi aveva rilevato una certa incoerenza - non sono parole sue, ma di chi scrive - nell'esonerare dalla ricerca di sottoscrittori un partito che alle ultime elezioni europee abbia ottenuto almeno un seggio e aderisca a un partito politico europeo, negano invece la stessa esenzione a chi abbia ottenuto eletti, ma non sia affiliato a un partito europeo. Sulla base di quest'osservazione, Tosato aveva chiesto di eliminare il passaggio legato all'affiliazione al partito (e al gruppo parlamentare?) europeo o, in alternativa, di accantonare lo stesso emendamento. Proprio questa era stata la soluzione adottata dal presidente di commissione Alberto Balboni (Fdi), a fronte della disponibilità "ad un approfondimento istruttorio" della sottosegretaria all'interno Wanda Ferro. 
Su tali basi, il confronto sull'emendamento tagliaesenzioni era stato rinviato - si riteneva - alla settimana successiva, lasciando spazio a ulteriori riflessioni e, magari, a nuove riformulazioni del testo, anche con il contributo dei partiti di minoranza. Da una parte, era da apprezzare il riferimento di alcune forze politiche ai principi europei che richiedevano di non modificare le norme elettorali a ridosso del voto, alla gravosità della raccolta firme per le elezioni europee e all'inopportunità di ostacolare l'esonero attraverso la rappresentanza al Parlamento europeo (tra l'altro, l'intervento di Avs risultava ancora più significativo, considerando che l'eventuale presentazione di una lista attraverso il Partito della sinistra europea, se resa di nuovo possibile, potrebbe sottrarle più di qualche voto); colpiva un po' di più che un partito come Italia viva, aderente al Partito democratico europeo e al gruppo parlamentare europeo Renew Europe, non abbia detto nulla - a giudicare da quanto riportato dal resoconto sommario - sul sostanziale blocco, almeno per questa volta, delle esenzioni per i partiti nazionali affiliati a partiti europei anche senza propri eurodeputati. Allo stesso tempo, si poteva condividere il rilievo di incoerenza mosso dalla Lega circa la negazione dell'esonero al partito nazionale con eurodeputati, in caso di mancata appartenenza a un partito e gruppo europeo; non sfuggiva peraltro come il partito guidato da Matteo Salvini non avesse fatto alcuna esplicita apertura ai partiti nazionali membri di partiti europei ma privi di eletti al Parlamento europeo, che per la Lega sarebbe stata potenzialmente svantaggiosa (perché avrebbe aperto la strada alla lista presentata dal Patto autonomie e ambiente, sotto l'egida dell'Efa - Alleanza libera europea). 

Gli altri emendamenti di due settimane fa

Le votazioni, iniziate la mattina di giovedì 22 febbraio, avevano peraltro visto il ritiro di non pochi emendamenti, incluso quello della Lega sull'elevazione del limite di mandati consecutivi a tre per tutti i comuni sopra i 5mila abitanti; il partito guidato da Salvini - sempre attraverso Paolo Tosato - aveva annunciato la non partecipazione al voto sugli altri emendamenti in materia di limiti ai mandati dei sindaci. Non era però stata ritirata la proposta di modificare la "legge cornice" sulle elezioni regionali prevedendo il limite massimo di tre mandati per i presidenti: per Tosato si erano fatte troppe modifiche disordinate in tema di mandati elettivi, per cui valeva la pena lasciare scegliere al corpo elettorale se confermare o no un presidente di Regione con due mandati pieni all'attivo. Se il governo alla fine si era rimesso alla commissione, il presidente Alberto Balboni aveva confermato parere contrario (pur non accogliendo le richieste di dichiarare l'emendamento improponibile, benché il decreto contenga un riferimento alle elezioni regionali): a suo dire, era giusto prevedere un limite ai mandati consecutivi di tutti gli organi monocratici (anche se sul numero si poteva discutere) e, anzi, gli era parso inopportuno eliminare ogni limite alla ricandidatura in tutti i comuni fino a 5mila abitanti (col rischio di fossilizzare "situazioni poco trasparenti e poco compatibili con il ricambio democratico"), quando sarebbe stato meglio limitare l'intervento ai comuni più piccoli. Avevano avversato l'emendamento anche Pd, M5S, Alleanza Verdi e Sinistra, Forza Italia e Fratelli d'Italia, mentre Azione non aveva partecipato al voto; oltre che dalla Lega, il voto favorevole era arrivato da Italia viva, ma l'emendamento era stato comunque respinto.
Era stato invece approvato un emendamento di Michaela Biancofiore (Coraggio Italia) volto a introdurre il principio in materia elettorale regionale dell'esonero dalla raccolta firme per le liste "che, al momento della indizione delle elezioni regionali, sono espressione di forze politiche o movimenti corrispondenti a gruppi parlamentari presenti in almeno uno dei due rami del Parlamento nazionale, sulla base di attestazione resa dal segretario o Presidente del partito rappresentato nel Parlamento" (ipotesi più ristretta rispetto alle esenzioni previste da molte norme regionali: si tratta di capire se queste potranno essere ancora legittime, visto che la "legge cornice" non richiede formalmente di limitare le fattispecie di esonero a questa, o dovranno uniformarsi all'emendamento appena approvato).
Quanto ad altre proposte messe in votazione, si era uniformato l'orario di votazione della giornata di sabato dalle ore 15 alle 23 (invece che dalle ore 14 alle 22) seguendo, a quanto si è detto nel dibattito, una sollecitazione delle prefetture; si era approvato l'aumento una tantum dei compensi - proposto dal M5S - per i seggi in cui si svolgeranno più consultazioni elettorali (dunque con almeno un altro voto oltre a quello europeo); si era posticipato al 29 settembre il termine per lo svolgimento delle elezioni provinciali previste quest'anno, ma - si è precisato - relativamente alle sole province "tenute al rinnovo elettorale dei propri organi entro il quarantacinquesimo giorno successivo all'ultima proclamazione degli eletti nei comuni interessati al voto nel turno ordinario annuale" (lo ha proposto il centrodestra, ma anche il Pd ha aderito). Con riguardo al voto dei "fuori sede", era stato approvato un emendamento riformulato di Fratelli d'Italia che prevedeva la sperimentazione del voto, ma solo per le europee di quest'anno e solo per coloro che studiano in una regione diversa: la proposta aveva avuto il favore anche delle opposizioni, che però avevano lamentato un compromesso al ribasso (la contestuale proposta dell'estensione del voto ai "fuori sede" pure ai referendum e non solo per motivi di studio, ma anche di salute o di lavoro, avanzata dal M5S e sottoscritta anche da altri esponenti dell'opposizione, era stata respinta, con tanto di parere negativo del governo generato dalla "attuale mancanza di strumenti tecnici adeguati a garantire la sicurezza nell'esercizio del voto"). 
Si è votato anche sull'emendamento di Fratelli d'Italia in materia di simboli politici registrati come marchi: tanto il governo quanto il relatore avevano espresso parere favorevole, purché il testo fosse riformulato in modo tale da non comprendere più la seconda parte della proposta, cioè quella che avrebbe finito per eliminare il parere obbligatorio e vincolante all'amministrazione interessata - in questo caso il Ministero dell'interno - circa la registrazione come marchio di segni distintivi contenenti parole, figure o segni "con significazione politica". L'emendamento è stato dunque riformulato e approvato: se il disegno di legge di conversione completerà il suo iter in tempo, entrerà in vigore la modifica al codice della proprietà industriale, in base alla quale "[l]a registrazione come marchio d'impresa di simboli o emblemi usati in campo politico o di marchi comunque contenenti parole, figure o segni con significazione politica non rileva ai fini della disciplina elettorale e, in particolare, delle norme in materia di deposito dei contrassegni, liste dei candidati e propaganda elettorale". Ciò significherebbe evitare esplicitamente la possibilità che sorgano diritti o prelazioni con il deposito e l'eventuale registrazione come marchio di emblemi politici - per cui, per essere chiari, il simbolo del Movimento sociale Fiamma tricolore che il segretario nazionale Daniele Cerbella ha depositato il 26 ottobre scorso potrebbe non evitare al partito contestazioni di confondibilità con l'emblema di Fdi - e non dovrebbe nemmeno consentire rischiose confusioni di discipline (non permettendo, per esempio, a chi avesse depositato un simbolo come marchio di usarlo come tale e invocare le norme dei segni distintivi, al fine di aggirare i limiti posti dalle disposizioni sulle campagne elettorali).
Non erano stati invece approvati invece gli emendamenti del MoVimento 5 Stelle volti a introdurre di fatto il principio dell'accorpamento delle consultazioni elettorali (riproponendo tra l'altro il secondo turno ordinario di votazione per le elezioni amministrative) e a vietare l'assunzione di personale dipendente da parte delle aziende speciali, delle istituzioni e delle società a partecipazione pubblica regionale o locale nei due mesi precedenti e nei due mesi successivi al voto nei territori interessati, così come quello (sostenuto anche da Avs e Pd, con l'astensione del presidente Fdi Balboni) volto a eliminare l'innalzamento del limite ai mandati successivi ai comuni tra 5mila e 15mila abitanti.
Si era invece scelta la via dell'accantonamento, come per la proposta tagliaesenzioni, per l'emendamento di Forza Italia volto a limitare l'ineleggibilità a consigliere regionale ai soli dipendenti della Regione che svolgano funzioni e attività amministrative: il testo, riformulato per due volte (l'ultima per fare salve le altre ineleggibilità e incompatibilità previste per i consiglieri regionali), aveva però incontrato la contrarietà netta di Pd (attraverso Dario Parrini), M5S (con Alessandra Maiorino) e Italia viva (con Dafne Musolino), ritenendo che quella proposta di modifica potesse - essendo qualificata come norma di interpretazione autentica - "sanare evidentemente situazioni di consiglieri regionali che temono di essere dichiarati decaduti" (parole attribuite a Parrini). Benché il senatore forzista Mario Occhiuto avesse segnalato che si voleva soltanto circoscrivere le cause di ineleggibilità, ritenendo che i dipendenti regionali con mansioni solo esecutive non avrebbero potuto "utilizzare la propria posizione per acquisire un tornaconto o un vantaggio in sede di presentazione della candidatura" e non sarebbe stato ragionevole impedire loro di candidarsi, Lega e Fratelli d'Italia avevano suggerito un approfondimento istruttorio, accantonando l'emendamento e così il presidente Balboni aveva scelto di fare.

Il taglio delle esenzioni approvato

L'accantonamento dell'emendamento di Fdi volto a restringere le esenzioni e la disponibilità del governo a un approfondimento istruttorio, come si è detto, avevano fatto pensare a possibili, ulteriori mutamenti della proposta, già modificata due settimane fa, magari dando più attenzione ai partiti nazionali iscritti a partiti politici europei, anche se privi di propri eletti.
In questo senso, sono trapelate notizie di contatti - con membri della I commissione e con la sua presidenza - di alcune formazioni italiane effettivamente aderenti a partiti politici europei per ottenere una formulazione ancora più aperta dell'emendamento, restituendo la possibilità - attualmente prevista grazie all'intervento dell'Ufficio elettorale nazionale del 2014 e alle decisioni successive degli uffici circoscrizionali - di godere l'esenzione dalla raccolta firme alle formazioni aderenti a partiti europei registrati e rappresentati al Parlamento europeo (da persone elette negli altri Paesi), purché l'affiliazione fosse certificata da una dichiarazione firmata dal legale rappresentante del partito politico europeo e debitamente autenticata; da parte di alcuni soggetti la richiesta era più ampia, onde estendere l'esonero anche a soggetti non ancora inseriti nel registro dei partiti europei, ma che avessero fatto domanda di iscrizione. Per non far proliferare i casi di esenzione e contenere gli eccessi dell'ultima tornata, in ogni caso, le richieste si erano orientate verso l'esclusione dal beneficio per le formazioni italiane che vantavano collegamenti con semplici partiti di Paesi europei (e non veri partiti transnazionali) e, soprattutto, c'è chi aveva chiesto di precisare che ciascun partito politico europeo avrebbe potuto esentare una sola lista a livello nazionale, non permettendo più a ciascuna sigla aderente di presentare una propria lista senza firme (magari per consentire ad altri soggetti un accesso facilitato alle schede) e, possibilmente, favorendo l'aggregazione di tutte le formazioni nazionali aderenti al singolo partito europeo in un'unica lista. 
Le indiscrezioni - circolate prima delle elezioni regionali sarde - non avevano escluso un'apertura di alcune forze di maggioranza a una riformulazione meno severa del testo, ma non erano mancate riserve di altri soggetti politici, probabilmente più interessati a evitare il sorgere di liste in grado di attirare voti di bacini elettorali almeno in parte coincidenti. Nel frattempo, l'esame degli emendamenti accantonati era slittato di una settimana: il 28 febbraio, in effetti, si è saputo - per bocca del senatore di Fdi Marco Lisei, vale a dire il primo firmatario dell'emendamento sulle esenzioni - che l'esame del disegno di legge di conversione del "decreto elezioni 2024" sarebbe comunque passato alla settimana successiva "in attesa del parere della Commissione bilancio sugli emendamenti eventualmente approvati".
Il tempo di esaminare gli emendamenti accantonati, tuttavia, è arrivato ieri sera, nella seduta "notturna" della I commissione, svoltasi tra le 20 e 10 e le 21 e 20. L'emendamento che vuole restringere le esenzioni per le elezioni europee è stato approvato, mentre è stato di nuovo accantonato quello che punta a limitare l'ineleggibilità a consigliere regionale per i dipendenti regionali con funzioni e attività amministrative (la sottosegretaria Ferro aveva chiesto di specificare che la più ristretta condizione di ineleggibilità al consiglio regionale troverà applicazione solo pro futuro e il dem Andrea Giorgis ha chiesto di esplicitare questo effetto, mentre il M5S ha contestato l'opportunità dell'uso dell'interpretazione autentica, per natura retroattiva, mentre sarebbe stato meglio - come sottolineato pure da Italia viva - modificare la disposizione; per i proponenti però la precisazione sull'efficacia solo per il futuro snaturava lo spirito interpretativo ed era necessario approfondire il significato del testo proposto). 
Tornando all'emendamento tagliaesenzioni, si è innanzitutto registrato un fatto nuovo, cioè l’annuncio di voto favorevole da parte del senatore leghista Tosato: questi ha dichiarato di mantenere le sue riserve (probabilmente legate innanzitutto all’incoerenza relativa all’esenzione riconosciuta al partito con eletti a Strasburgo e aderente a un partito europeo, ma negata in assenza di affiliazione), ma di fatto in questo modo è venuta meno l’unica riserva esplicita proveniente dalla maggioranza di governo.
La sola critica esplicita è rimasta quella di De Cristofaro (Avs): questi ha ammesso che occorrevano chiarimenti sulla materia delle esenzioni, "considerato che nelle scorse elezioni europee si era dovuto intervenire in via giudiziaria per decidere sull’ammissibilità delle liste" (in realtà la frase riportata dal resoconto è solo in parte vera: dopo l’episodio pilota del 2014 dei Verdi europei, infatti, il contenzioso in materia nel 2019 è stato molto ridotto e ha riguardato - per l’esenzione di matrice europea - solo le liste che il Movimento Gilet arancioni aveva tentato di presentare), ma lui rimaneva contrario "per motivi di metodo e di merito". Sul piano del metodo, De Cristofaro ha ribadito come sia "decisamente inopportuno modificare le norme elettorali poco prima del voto" (richiamando la raccomandazione 2023/2829 della Commissione europea citata sopra); quanto al merito, ha segnalato il potenziale restrittivo di una modifica che interviene a fronte di un "elevato numero di sottoscrizioni da raccogliere per le elezioni europee", quando piuttosto "in un contesto di forte astensionismo e crisi della democrazia, sarebbe preferibile incoraggiare la partecipazione alla competizione elettorale". Si tratta certamente di ragioni fondate, ma non sfugge come in questo caso non sia stato speso alcun argomento legato all’opportunità di considerare serie (e dunque di non richiedere le firme) candidature promosse da partiti nazionali affiliati a partiti europei presenti a Strasburgo, ma senza eletti conseguiti in Italia. In sede di votazione, in ogni caso, l’emendamento è stato approvato (il resoconto sommario non consente di conoscere i numeri dei voti favorevoli o contrari e delle astensioni). 
Si può poi segnalare l'accoglimento di alcuni ordini del giorno, frutto di emendamenti che erano stati presentati e poi ritirati. Tra questi, due ordini del giorni di Forza Italia: uno con l'intento di "far rientrare pienamente le province nell'ordinamento degli enti locali" disciplinato dal Tuel (abbandonando di fatto la "legge Delrio" del 2014, la cui riforma organica sarebbe "ormai non più rinviabile"), l'altro espressamente teso a impegnare il Governo "a valutare ogni utile iniziativa, anche normativa, per poter procedere all'introduzione di una tessera elettorale digitale, in progressiva sostituzione della tradizionale tessera elettorale", facendo sì che "la certificazione dell'avvenuta partecipazione al voto avvenga mediante un'apposita applicazione informatica, interoperabile con l'Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), e secondo modalità tecniche da definirsi con decreto del Ministro dell'interno". Ora è dunque più chiaro cosa avesse inteso Forza Italia con l'emendamento che puntava a non applicare le disposizioni in tema di tessera elettorale.
Niente da fare invece per l'ordine del giorno di Luis Durnwalder (Svp), volto a impegnare il Governo, "in sede di esame della riforma del TUEL, a valutare la possibilità di innalzare a tre il limite dei mandati per i sindaci dei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti", in modo che solo i cittadini valutino se confermare o no un sindaco già rieletto e non ci siano discriminazioni tra comuni in ragione della popolazione.

Partita chiusa?

L'approvazione da parte della I commissione del Senato dell'emendamento Lisei - sia pure nella sua versione più leggera - è un segnale serissimo per le liste che erano convinte di avere diritto di presentarsi senza dover raccogliere le firme in virtù dell'appartenenza (loro o di un partito vicino alla lista) a un partito politico europeo rappresentato a Strasburgo. Vale innanzitutto per la citata lista Pace Terra Dignità, che da ieri sera sa di doversi muovere con estremo urgenza per raccogliere più di 30mila firme in ogni circoscrizione, delle quali almeno 3mila in ogni regione (con tutta la difficoltà che si può immaginare in Valle D'Aosta, Molise e Basilicata); di più, considerando che le liste dovranno essere presentate nelle corti d'appello di Milano, Venezia, Roma, Napoli e Palermo tra il 30 aprile e il 1° maggio e che nel frattempo occorrerà dotarsi di tutti i certificati di iscrizione dei sottoscrittori nelle rispettive liste elettorali comunali, la raccolta dovrà essere completata in poco più di 50 giorni. Un compito oggettivamente difficile, anche per un partito con una storia significativa - come il Prc, potenziale latore dell'esenzione che tuttora gli spetterebbe in virtù dell’affiliazione al Partito della Sinistra europea, da esso cofondato - ma con un'organizzazione territoriale non efficace e diffusa come un tempo.
La situazione non sembra migliore per Volt, che tra l'altro non è nemmeno ufficialmente un partito politico europeo a ogni effetto, pur essendo un'organizzazione politica paneuropea e transnazionale. Per quella forza politica, in alternativa all’ardua ricerca dei sottoscrittori, resterebbe aperta solo la possibilità di concorrere a una delle liste certamente esenti dalla raccolta firme (come avvenne nel 2022, quando partecipò alle elezioni politiche all’interno della lista del Partito democratico - Italia democratica e progressista): potrebbe concorrere a migliorare il risultato della lista, se si federasse a partiti medio-piccoli potrebbe anche essere determinante per raggiungere la soglia di sbarramento del 4%, ma in ogni caso avrebbe molta meno visibilità.
Lo stesso Patto autonomie ambiente, progetto-sorellanza legato al partito europeo Efa - alleanza libera Europea (grazie a varie forze politiche che ne fanno parte, a partire dal Patto per l'autonomia del Friuli-Venezia Giulia), non potrebbe più evitare la raccolta firme, a meno di unirsi anche "simbolicamente" - per mantenere una certa omogeneità sul piano dell'autonomismo - a un altro partito aderente all'Efa, cioè l’Union valdôtaine. Svanirebbero anche, allo stesso tempo, le speranze di chi contava su altri partiti iscritti a soggetti politici europei rappresentati a Strasburgo per presentare le proprie liste, come avevano fatto il Popolo della Famiglia (grazie ad Alternativa popolare) e i Popolari per l'Italia - entrambi i membri del Ppe - nel 2019.
In una nota, Rifondazione Comunista ha parlato di "vergognoso blitz antidemocratico" che "cambia le regole del gioco a partita iniziata”, sottolineando che "questo scippo può essere fermato alla Camera" e chiedendo che si intervenga lì con un emendamento. in realtà, la vera e ultima sede per intervenire sembra essere soltanto l'aula di Palazzo Madama: una volta arrivato a Montecitorio, infatti, è molto probabile che il testo venga "blindato" anche perché è già passato più di un mese dalla sua presentazione, dunque è trascorso oltre metà del tempo per la sua conversione. Ci si permette di sperare che qualche forza politica presente in Senato per esempio un emendamento per codificare l'esenzione legata all'appartenenza a un partito politico europeo rappresentato a Strasburgo (così da ritornare almeno alla condizione prospettata nel 2019 dalla guida del Viminale): in questo modo il dibattito avverrebbe in aula, dunque con una pubblicità decisamente Maggiore fino a quella avuta sinora, cosa che richiederebbe maggiore responsabilità alle forze parlamentari. Tutte.